Le ultime stime dell’ISMEA aggiornate al 2021 forniscono un’analisi dettagliata sulla distribuzione del valore lungo la catena agroalimentare in Italia, evidenziando la disparità nella ripartizione economica tra i diversi attori del settore. Il rapporto offre uno spaccato significativo su come viene suddivisa la spesa dei consumatori per prodotti freschi e trasformati, mettendo in luce le sfide economiche dei produttori agricoli.
La catena del valore dei prodotti alimentari freschi e trasformati
Secondo l’analisi, su 100 euro spesi dai consumatori per prodotti freschi, come frutta e verdura, solo 19,8 euro rappresentano il valore aggiunto destinato alla fase agricola. Tuttavia, considerando gli ammortamenti e i salari, il margine netto effettivo per i produttori si riduce a soli 7 euro.
La distribuzione del valore aggiunto nella catena del valore dei prodotti alimentari freschi
Per quanto riguarda i prodotti trasformati, la situazione è ancora più sbilanciata. Su 100 euro spesi dal consumatore, solo 4,4 euro rappresentano il valore aggiunto della fase agricola, con un margine netto di appena 1,5 euro. L’industria alimentare contribuisce con un valore aggiunto di 9,7 euro, generando un margine netto di 2,2 euro. In questo contesto, la maggior parte del valore è concentrata nelle fasi di commercio e trasporto, che rappresentano 30,1 euro di valore aggiunto e un utile netto di 13,1 euro.
La distribuzione del valore aggiunto nella catena del valore dei prodotti alimentari trasformati
Conclusioni
Le analisi di ISMEA offrono un importante punto di partenza per riflettere sulle dinamiche di distribuzione del valore e sull’opportunità di politiche più eque per sostenere l’agricoltura e i settori produttivi primari. La nota completa è scaricabile cliccando il seguente link.
L’Ufficio Studi della Fondazione Metes ha pubblicato un’analisi approfondita sui costi occulti associati ai sistemi agroalimentari capitalistici globali. Questa nota, basata sui dati del rapporto The State of Food and Agriculture 2024 della FAO, evidenzia come le attuali modalità di produzione e consumo alimentare generino significativi costi nascosti per la salute, l’ambiente e la società per un totale stimato di 11.629 miliardi di dollari a livello globale.
Costi sanitari
I sistemi agroalimentari globali causano impatti sanitari devastanti, con circa il 70% dei costi nascosti attribuibile a diete non sane. Queste ultime favoriscono la diffusione di malattie non trasmissibili (NCD), tra cui patologie cardiache, ictus e diabete. In particolare, il consumo ridotto di frutta e verdura e l’elevata presenza di alimenti ultra-processati contribuiscono rispettivamente al 52,1% e al 27,1% dei costi sanitari.
Costi ambientali
L’impatto ambientale dei sistemi agroalimentari rappresenta il 25,4% dei costi occulti globali, per un valore di circa 2.951 miliardi di dollari. Le principali cause includono l’uso di fertilizzanti chimici e le emissioni di CO2 lungo l’intera filiera produttiva. Inoltre, la deforestazione e la conversione di nuovi terreni agricoli contribuiscono ulteriormente alla perdita di biodiversità e all’aumento delle emissioni.
Costi sociali
La componente sociale, quantificata in 556 miliardi di dollari, riflette profonde disuguaglianze economiche e sociali. Disparità nell’accesso al cibo, povertà tra i lavoratori del settore e spreco alimentare sono fenomeni interconnessi che acuiscono la crisi alimentare globale.
Misura dei costi nascosti dei sistemi agroalimentari per categoria di costo (a sinistra) e sottocategoria (a destra), 2020 – Milioni di dollari PPP (Purchasing Power Parity)
Il caso italiano
In Italia, i costi occulti del sistema agroalimentare ammontano a circa 175,5 miliardi di dollari, di cui l’84,2% è rappresentato dai costi sanitari. Questo dato evidenzia la necessità di ripensare le politiche alimentari per garantire sistemi più equi e sostenibili.
Conclusioni
La nota evidenzia l’importanza di affrontare queste problematiche attraverso strategie differenziate e mirate, adattate alle specifiche realtà socio-economiche dei diversi Paesi. In questo senso, la seconda parte del documento analizza il diverso impatto dei costi occulti in sei diverse tipologie di sistema alimentare: in crisi prolungata, tradizionale, in espansione, in diversificazione, in formalizzazione, industriale.
Promuovere la sostenibilità e la salute non è solo una necessità etica, ma anche un’opportunità per mitigare gli impatti negativi di un sistema alimentare insostenibile.
Il Bollettino Statistico n. 21 della Fondazione Metes offre un’analisi approfondita delle dinamiche occupazionali nel settore agricolo italiano, aggiornando i dati al 2023.
Con quasi un milione di operai agricoli impiegati e oltre 117 milioni di giornate lavorate, l’agricoltura rimane un pilastro fondamentale per il tessuto economico e sociale del Paese, nonostante le sfide in atto.
Dati e tendenze
Per la prima volta, il numero di operai agricoli scende sotto il milione. Nel 2023 995.163 operai agricoli dipendenti sono stati impegnati complessivamente per 117.669.335 giornate.
Rispetto al 2022 la numerosità degli operai agricoli dipendenti è diminuita dell’1,2% mentre le giornate lavorate sono leggermente aumentate (+0,5%). Negli ultimi 10 anni la numerosità degli operai agricoli dipendenti è diminuita dell’1,4%, mentre le giornate lavorate sono aumentate del +12,5%.
Parallelamente, le imprese agricole con dipendenti registrano un calo significativo, accentuando il dibattito sull’evoluzione della sostenibilità del settore. Nel 2023 le imprese attive che occupano manodopera agricola dipendente sono 169.641.
Caratteristiche anagrafiche degli occupati in agricoltura
Nel 2023 gli occupati dipendenti in agricoltura erano per il 69% uomini e per il 31% donne. Nel periodo 2014-2023 l’occupazione dipendente maschile in agricoltura è cresciuta del 5% e quella femminile è diminuita del 13%.
La classe d’età con maggior frequenza nel 2023 risulta essere quella ‘35-54 anni’, in cui ricade il 44,1% dei lavoratori dipendenti. Nella classe d’età ‘fino a 34 anni’ si concentra un terzo dei dipendenti (31,5%), mentre il 24,3% ricade nella fascia ‘oltre i 55 anni’. Nel periodo 2014-2023 l’incidenza della classe d’età ‘fino a 34 anni’ è rimasta sostanzialmente stabile mentre quella ‘35-54 anni’ ha progressivamente ceduto quote a quella dei lavoratori ‘oltre i 55 anni’.
Nel 2023 erano 249.331 i lavoratori extracomunitari impegnati nel settore agricolo italiano. Nel periodo 2014-2023 il peso dei lavoratori extracomunitari in agricoltura è passato dal 14,7% del 2014 al 25,1% del 2023. I lavoratori extracomunitari dipendenti in agricoltura provengono principalmente da India (17,4%), Marocco (15,2%) e Albania (15,2%).
I caratteri del lavoro agricolo in Italia
Caratteristiche dei rapporti di lavoro
Nel 2023 il 26,2% dei lavoratori è occupato per meno di 50 giornate annue, il 15,5% lavora ‘51-100 gg’, il 22,1% lavora ‘101-150 gg’ e il 36,1% è impegnato per ‘oltre 150 gg’ annue.
Nel 2023 gli operai agricoli a tempo determinato (OTD) sono 891.535 e rappresentano l’89,6% del totale dei lavoratori dipendenti in agricoltura. Gli operai a tempo indeterminato (OTI) sono invece 115.185 e costituiscono circa l’11,6% dei lavoratori dipendenti del settore. Dal 2018 la numerosità degli occupati a tempo determinato è in calo (-9%) a vantaggio di quella degli occupati a tempo indeterminato (+11%).
Analisi territoriali
Come di consueto Il bollettino approfondisce inoltre, come di consueto, le peculiarità territoriali: dal primato della Puglia per numero di imprese e giornate lavorate, alle criticità in regioni come Emilia-Romagna e Molise, fino alle graduatorie che sintetizzano i valori dei principali indicatori (imprese, occupati, giornate lavorate) per provincia.
Imprese agricole, occupati e giornate a livello regionale (2023)
Conclusioni
Le condizioni meteorologiche avverse e le tensioni geopolitiche emerse nel 2023 hanno esercitato una pressione significativa sull’agricoltura italiana, amplificando le criticità già esistenti. Questa combinazione di fattori ha portato alla riduzione delle imprese attive e ha accentuato la precarietà del lavoro agricolo, evidenziando le fragilità strutturali di un settore che fatica ad adattarsi rapidamente a uno scenario globale sempre più complesso e instabile.
Il numero 3-4/2024 della rivista AE focalizza la sua attenzione sul tema delle aree interne, una porzione fondamentale del territorio del nostro Paese trascurata negli anni dal dibattito politico nazionale.
Eppure, le aree interne secondo l’ISTAT rappresentano quasi il 60% del territorio nazionale e sono abitate da quasi 13 milioni e mezzo di persone, vale a dire oltre il 23% dei cittadini italiani. Seguendo le tendenze neoliberiste che, dagli anni ’80, hanno pervaso le politiche e che prevedono una crescente accumulazione della ricchezza in poche mani e in un numero limitato di territori, le aree interne sono oggi pressocché ignorate dagli investitori pubblici e privati e vivono un continuo deterioramento delle condizioni di cittadinanza.
La crescente fragilità delle aree interne del nostro Paese si pone ormai come una questione di rispetto dei fondamentali diritti costituzionali visti i problemi di accesso delle popolazioni locali ai più basilari servizi sanitari, di istruzione e di trasporto.
D’altro canto, le preoccupazioni che montano nell’opinione pubblica rispetto agli impatti delle crisi climatica ed energetica con i correlati obiettivi di transizione ecologica determinano una nuova attenzione per le aree interne e per le ingenti potenzialità possedute da queste zone rispetto agli obiettivi dello sviluppo sostenibile. Questi spazi non solo concentrano, infatti, una fondamentale riserva di risorse naturali per lo sviluppo di fonti energetiche sostenibili, come l’acqua e il vento, ma rappresentano anche un fondamentale patrimonio di biodiversità sia naturale sia agricola pensando alla varietà di produzioni alimentari di qualità e di tecniche di agricoltura agroecologica storicamente diffuse in questi territori.
Parliamone insieme!
Questo numero sarà presentato lunedì 9 dicembre 2024, presso la sede della nostra Scuola politico-sindacale, nell’ambito dell’iniziativa “Invertire lo sguardo: dalle Aree interne per un nuovo modello di sviluppo“.
Caratteristiche ed evoluzioni dell’agricoltura nelle aree interne di Massimiliano D’Alessio
Politiche per l’agricoltura e i territori rurali di Daniela Storti
Aree interne e foreste di Alessandra Stefani e Raul Romano
Governance locale, risorse e programmazione per l’agricoltura territoriale di Antonio Lavorato
Aree interne nella transizione ecologica, economica e sociale del Paese di Carmela Cascone, Antonella Tornato, Paolo De Fioravante, Ines Marinosci
Benessere nelle aree interne. Dalla crisi del “welfare tradizionale” alle opportunità del “welfare territoriale” di Marco Giovagnoli
Produzioni agro-alimentari e servizi ecosistemici nelle aree interne italiane. Il caso studio della filiera lattiero-casearia di Angelo Marucci, Aurora Cavallo, Luigi Mastronardi
Archivio storico Donatella Turtura (Introduzione di Valeria Cappucci)
Dopo la presentazione pubblicheremo su questa pagina, come di consueto, gli abstract di tutti i contributi e la registrazione dell’evento.
Secondo le ultime rilevazioni ISTAT relative ai conti economici delle imprese e multinazionali nell’industria alimentare e delle bevande, le imprese attive sono 52.400 e occupano circa 468.000 addetti, di cui 400.000 dipendenti.
Rispetto al settore manifatturierio, l’industria alimentare e delle bevande rappresenta il 13,7% delle imprese, l’11% degli addetti, il 12,2% del fatturato e l’8,4% del valore aggiunto.
Come avviene più in generale per il sistema produttivo italiano, anche nell’industria alimentare e delle bevande le microimprese (sotto i 10 addetti) rappresentano la maggior parte del settore: l’85% delle imprese, il 28,5% degli addetti e il 10% del valore aggiunto. Viceversa, meno del 2% sono grandi imprese (250 addetti e oltre).
Il comparto con il maggior numero di imprese e di addetti è quello ‘Prodotti da forno’, in cui si rileva il 57,0% delle imprese e il 35,2% degli addetti. Ma è l’ultimo, insieme a quello ‘Oli e grassi’ per rapporto occupati per impresa: solo 5,5. Ciò si spiega con la piccola dimensione di ciascuna impresa di prodotti da forno.
Nella tabella che segue si riepilogano le principali caratteristiche dei comparti produttivi dell’industria alimentare e delle bevande.
Caratteristiche dei comparti dell’industria alimentare e delle bevande – Anno 2022
Settore
Imprese
Valore aggiunto
Occupati
Occupati per impresa
Numero
%
Migliaia di euro
%
Numero
%
Carni
3.202
6,1%
4.102.585
13,4%
63.369
13,5%
19,8
Ittico
432
0,8%
453.632
1,5%
6.692
1,4%
15,5
Ortofrutta
1.694
3,2%
2.555.116
8,3%
36.436
7,8%
21,5
Oli e grassi
2.721
5,2%
1.011.746
3,3%
10.869
2,3%
4,0
Lattiero-caseario
2.788
5,3%
3.327.516
10,8%
46.241
9,9%
16,6
Molitorio
1.069
2,0%
1.430.274
4,7%
11.500
2,5%
10,8
Prodotti da forno
29.874
57,0%
5.897.376
19,2%
164.880
35,2%
5,5
Altri prodotti alimentari
6.871
13,1%
5.935.616
19,3%
77.648
16,6%
11,3
Alimentazione animale
459
0,9%
1.000.157
3,3%
7.856
1,7%
17,1
Bevande
3.304
6,3%
4.976.096
16,2%
42.958
9,2%
13,0
TOTALE
52.414
100,0%
30.690.114
100,0%
468.449
100,0%
8,9
Fonte: Elaborazioni Fondazione Metes su dati ISTAT
Nella nota che si può consultare e scaricare qui di seguito, abbiamo evidenziato le tendenze dei dati riportati rispetto agli anni precedenti e abbiamo incluso un interessante approfondimento sulle imprese multinazionali.
Secondo l’INPS nel 2023 si evidenziano crescite nella numerosità dei lavoratori dipendenti nel settore privato (+2,3%), nella retribuzione media annua (+3,5%) e nel numero medio di giornate retribuite (+0,7%) rispetto allo scorso anno.
Numero lavoratori dipendenti, retribuzione media e numero medio giornate retribuite nell’anno per qualifica e variazione % sul 2022. Anno 2023
Fonte: Elaborazioni Fondazione Metes su dati INPS
Problemi strutturali del lavoro dipendente in Italia
Un’analisi più approfondita permette di evidenziare come, al di là di questi andamenti positivi, la situazione occupazionale in Italia rimane caratterizzata da alcune specifiche problematiche strutturali. Anche nel 2023, infatti, si confermano gli elevati differenziali retributivi che caratterizzano i lavoratori più giovani e le donne: nel 2023 la retribuzione media annua degli under 30 è il 58% di quella media, mentre quella delle donne è il 70% di quella media dei lavoratori maschi.
Una ulteriore criticità riguarda la maggiore incidenza tra i giovani del peso dei contratti a tempo determinato e stagionali: nel 2023 tra gli under 30 solo il 54% dei dipendenti ha un contratto a tempo indeterminato a fronte di un valore medio del 73%. I contratti a tempo determinato e stagionali sono inoltre più diffusi tra le lavoratrici: le donne con un contratto a tempo indeterminato sono il 69% del totale, mentre per i lavoratori maschi questo dato è pari al 73%.
La terza criticità riguarda il forte divario territoriale che caratterizza le retribuzioni medie annue. Nel 2023 nelle ripartizioni del Mezzogiorno il valore delle retribuzioni annue è inferiore del 26% rispetto a quelle medie nazionali.
Forme di lavoro non standard
Le statistiche messe a disposizione dall’INPS confermano, infine, la crescita che nell’ultimo decennio ha caratterizzato le forme di lavoro non standard. In particolare per il part time si evidenziano aumenti sia della numerosità dei lavoratori con contratto di lavoro a tempo parziale (+34,7%) sia di quelle delle giornate retribuite nell’anno (+36,5%). Incrementi anche più consistenti riguardano il lavoro intermittente che evidenzia incrementi sia della numerosità dei lavoratori (+93,7%) sia della numerosità delle giornate retribuite nell’anno (+109,4%). Infine nello stesso periodo cresce anche il lavoro in somministrazione: +81,7% nella numerosità dei lavoratori e +110,7% nelle giornate retribuite nell’anno.
Approfondimenti
La nota allegata approfondisce il tema offrendo un’analisi dei dati che riguardano anche, nello specifico, i lavoratori part-time, i lavoratori intermittenti e quelli in somministrazione.