Il numero 19 del “Bollettino Statistico della Fondazione Metes” è dedicato ad una analisi dei risultati dell’attività di tutela e vigilanza in materia di lavoro e legislazione sociale svolta dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro nel settore agricolo italiano nel corso del 2023.
L’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha un ruolo fondamentale nella tutela dei lavoratori grazie alla sua attività ispettiva e sanzionatoria nei confronti di irregolarità che spaziano dalle violazioni amministrative ai reati penali.
I risultati dell’attività ispettiva sul territorio nazionale nel settore agricolo
Nel 2023 l’attività di vigilanza in materia di lavoro effettuata dagli Ispettori dell’INL e dai Carabinieri del Comando Tutela Lavoro ha riguardato 4.263 accessi ispettivi presso aziende classificate nell’ambito dell’ATECO “Agricoltura, silvicoltura e pesca”.
Il risultato dei 3.529 accertamenti definiti ha permesso la contestazione di 2.090 illeciti, il 49% del totale degli accertamenti. I lavoratori agricoli per i quali è stata accertata una posizione irregolare sono stati 7.915, il 7,5% sul totale dei lavoratori irregolari.
Vi lasciamo al testo del bollettino per un’analisi completa dei risultati.
Dati sintetizzati nel bollettino
In questo numero del “Bollettino Statistico della Fondazione Metes”, abbiamo sintetizzato:
I risultati dell’attività ispettiva nel settore agricolo a livello nazionale con i dati relativi, fra gli altri, alle aziende ispezionate, le pratiche definite, il tasso di irregolarità, il numero e la tipologia di violazioni riscontrate, i lavoratori coinvolti;
La distribuzione geografica dell’attività ispettiva con il totale delle aziende ispezionate, delle ispezioni definite, dei lavoratori coinvolti da violazioni e la tipologia di violazioni a livello regionale;
I dati provinciali sulle aziende ispezionate, sulle ispezioni definite, sul tasso di irregolarità, sul numero dei lavoratori tutelati grazie all’attività ispettiva, sui lavoratori “in nero” e sul numero di lavoratori interessati da violazioni delle norme di contrasto ai fenomeni di sfruttamento e caporalato.
Il 7 giugno 2024 l’ISTAT ha pubblicato i dati definitivi sull’andamento dell’inflazione misurata sulla base dell’indice IPCA al netto della dinamica dei prezzi dei beni energetici importati per il periodo 2020-2023 e le previsioni dell’indicatore per gli anni 2024-2027.
Cos’è l’IPCA-NEI?
L’indicatore dei prezzi al consumo al netto dei prodotti energetici importati (IPCA-NEI) è considerato come riferimento per la contrattazione collettiva dall’Accordo quadro tra le parti sociali per la riforma degli assetti contrattuali del 22 gennaio 2009 e non rientra tra quelli diffusi mensilmente dall’Istat con riferimento ai prezzi al consumo.
IPCA netto dei beni energetici importati nel 2020-2023: realizzazione e scostamenti tra realizzazione e previsione (realizzazione: variazioni percentuali; scostamenti: punti percentuali)
Vi rimandiamo alla nostra nota completa per le previsioni del valore per il prossimo triennio 2024-2027. Si può scaricare qui.
L’industria alimentare italiana ha dovuto rivedere le sue politiche di approvvigionamento delle materie prime a causa della pandemia COVID-19 e dei cambiamenti nel contesto globale. L’ultima nota del nostro Ufficio Studi esplora come le aziende agroalimentari abbiano risposto alle tensioni inflazionistiche e ai nuovi scenari economici, ponendo particolare attenzione all’integrazione della catena del valore.
Grado di integrazione
Un indicatore chiave dell’adattamento delle imprese è il rapporto tra valore aggiunto e fatturato. Nel 2021, questo rapporto era del 19,1% per l’industria alimentare e delle bevande. Settori come la produzione di prodotti da forno mostrano un alto grado di integrazione (28,0%), mentre la lavorazione di oli e grassi (9,9%) e di granaglie (11,9%) mostrano livelli più bassi. Complessivamente, dal 2009 al 2021, l’industria alimentare ha visto un aumento del gradi di integrazione del +0,8%, in linea con la crescita dell’intera industria manifatturiera nazionale (+2,6%).
Importazioni di materie prime
L’analisi delle importazioni di materie prime dal 2017 al 2023 rivela che nel 2023 l’industria alimentare ha importato beni per un valore di 17,5 miliardi di euro, con il caffè greggio come la materia prima più importata (11,4% del totale). Altri prodotti significativi includono il mais (9,8%) e le carni suine semilavorate (9,5%).
Le importazioni sono cresciute in valore del +58,8%, contro un aumento delle quantità del +15,3% nello stesso periodo. Ciò riflette un aumento dei prezzi delle materie prime sul mercato internazionale, con il FAO Index Price che ha registrato un’impennata post-Covid. Tuttavia, dal 2015 al 2023, l’incidenza delle importazioni sul totale degli acquisti di materie prime è diminuita dello 0,6%, indicando una maggiore preferenza delle imprese per materie prime di origine nazionale.
Strategie di approvvigionamento delle materie prime
L’industria alimentare italiana sta adattando le sue strategie di approvvigionamento per affrontare le nuove sfide economiche, bilanciando tra integrazione della catena del valore e scelta di fornitori nazionali. Questo approccio mira a contenere i costi e a garantire la sostenibilità a lungo termine, in un contesto di crescenti pressioni inflazionistiche e volatilità dei mercati globali.
Andamenti e caratteristiche del lavoro atipico nell’industria alimentare e delle bevande
L’ultima analisi del nostro Ufficio studi prende in esame il lavoro “atipico” nell’industria alimentare e delle bevande. Sulla base dei dati INPS e INAIL proviamo ad approfondire la diffusione nel settore di quelle tipologie occupazionali diverse dai tradizionali contratti di lavoro dipendente a tempo indeterminato e dalle forme di lavoro autonomo.
Nella nota allegata troverete informazioni sulla numerosità e sulle caratteristiche dei lavoratori dell’industria alimentare e delle bevande titolari di contratti di lavoro part time, lavoro intermittente e lavoro in somministrazione.
Le nostre elaborazioni evidenziano un incremento nell’incidenza dei contratti part time che nel 2023 riguardavano oltre un terzo dei lavoratori del settore. A questo si aggiungono, da un lato, l’elevata diffusione dei contratti intermittenti tra le categorie di lavoratori più vulnerabili (donne e giovani) e, dall’altro, la notevole crescita registrata negli anni nella numerosità dei contratti di somministrazione. E’ forse superfluo specificare come queste tipologie di contratto sempre più diffuse offrano tutele inferiori in termini previdenziali ed assistenziali rispetto a quelle garantite dai “contratti standard”, portando ad una discriminazione, di fatto, di alcune categorie di lavoratori e lavoratrici.
Come si può contrastare la precarizzazione del lavoro nel nostro settore?
Il recente rinnovo del CCNL per i lavoratori dell’industria alimentare compie importanti passi avanti nel tentativo di ridurre l’instabilità dei posti di lavoro nel settore, ad esempio fissando nel 25% il limite massimo nel rapporto tra i contratti a tempo determinato e in somministrazione attivali sul totale dei contratti a tempo indeterminato.
Vi invitiamo a scaricare e leggere la nota completa nella quale, oltre alla numerosità e all’andamento dell’impiego delle forme di contratto atipiche, troverete disaggregazioni per genere, età, distribuzione geografica, qualifica, retribuzione e settore ATECO.
Cosa è successo all’agricoltura di montagna e di collina negli ultimi 60 anni?
Attraverso l’analisi dei dati forniti dal VII Censimento dell’agricoltura ISTAT proviamo a misurare quali sono stati i differenti effetti che le trasformazioni strutturali registrate negli anni nell’agricoltura italiana hanno generato sul settore nelle aree agricole di montagna, di collina e di pianura.
Variazioni % nella numerosità delle aziende agricole per ripartizione territoriale e per zona altimetrica, 1990-2020
(Nostre elaborazioni su dati ISTAT 2022)
Come si è modificata l’agricoltura di montagna, di collina e di pianura nelle diverse aree territoriali del nostro Paese?
Nell’ultimo trentennio, l’agricoltura nelle diverse zone del nostro Paese ha subito cambiamenti differenziati.
La diminuzione delle aziende agricole è stata più pronunciata nelle aree montane e collinari rispetto a quelle pianeggianti, ad eccezione del Nord-est dove il calo si è concentrato nelle zone collinari. Nel Nord-ovest e nel Centro, si sono verificate riduzioni significative della numerosità delle aziende di montagna.
Le superfici agricole utilizzate e totali hanno subito le flessioni più accentuate nelle zone montane del Nord-est e del Centro, mentre le zone collinari del Nord-ovest hanno registrato diminuzioni significative.
Quali effetti comportano queste evoluzioni?
La scomparsa dell’agricoltura nelle aree montane e collinari genera inoltre preoccupanti ripercussioni in merito agli obiettivi di conservazione e salvaguardia del paesaggio rurale nonché agli obiettivi di conservazione della vitalità economica delle aree interne.
I risultati della nostra analisi evidenziano quindi la necessità di riformare profondamente i meccanismi di funzionamento della PAC portando definitivamente a compimento il processo di trasformazione dei pagamenti diretti per trasformarli effettivamente nello strumento in grado di remunerare i servizi ecosistemici forniti dall’agricoltura nelle aree interne.
Per tutti i dati suddivisi per area geografica e zone altimetriche e per un’analisi più politica delle evoluzioni presentate, vi invitiamo a leggere l’intera nota.