Approvvigionamento delle materie prime nell’industria alimentare italiana

L’industria alimentare italiana ha dovuto rivedere le sue politiche di approvvigionamento delle materie prime a causa della pandemia COVID-19 e dei cambiamenti nel contesto globale. L’ultima nota del nostro Ufficio Studi esplora come le aziende agroalimentari abbiano risposto alle tensioni inflazionistiche e ai nuovi scenari economici, ponendo particolare attenzione all’integrazione della catena del valore.

Grado di integrazione

Un indicatore chiave dell’adattamento delle imprese è il rapporto tra valore aggiunto e fatturato. Nel 2021, questo rapporto era del 19,1% per l’industria alimentare e delle bevande. Settori come la produzione di prodotti da forno mostrano un alto grado di integrazione (28,0%), mentre la lavorazione di oli e grassi (9,9%) e di granaglie (11,9%) mostrano livelli più bassi. Complessivamente, dal 2009 al 2021, l’industria alimentare ha visto un aumento del gradi di integrazione del +0,8%, in linea con la crescita dell’intera industria manifatturiera nazionale (+2,6%).

Importazioni di materie prime

L’analisi delle importazioni di materie prime dal 2017 al 2023 rivela che nel 2023 l’industria alimentare ha importato beni per un valore di 17,5 miliardi di euro, con il caffè greggio come la materia prima più importata (11,4% del totale). Altri prodotti significativi includono il mais (9,8%) e le carni suine semilavorate (9,5%).

Grafico che mostra l'andamento della produzione industriale, del valore corrente e delle quantità delle materie prime importate

Andamento delle importazioni di materie prime per l’industria alimentare (2017-2023)
Elaborazioni Fondazione Metes su dati Crea PB – ISTAT

Le importazioni sono cresciute in valore del +58,8%, contro un aumento delle quantità del +15,3% nello stesso periodo. Ciò riflette un aumento dei prezzi delle materie prime sul mercato internazionale, con il FAO Index Price che ha registrato un’impennata post-Covid. Tuttavia, dal 2015 al 2023, l’incidenza delle importazioni sul totale degli acquisti di materie prime è diminuita dello 0,6%, indicando una maggiore preferenza delle imprese per materie prime di origine nazionale.

Strategie di approvvigionamento delle materie prime

L’industria alimentare italiana sta adattando le sue strategie di approvvigionamento per affrontare le nuove sfide economiche, bilanciando tra integrazione della catena del valore e scelta di fornitori nazionali. Questo approccio mira a contenere i costi e a garantire la sostenibilità a lungo termine, in un contesto di crescenti pressioni inflazionistiche e volatilità dei mercati globali.

Per approfondire scarica qui la nota completa.

Il lavoro atipico nell’industria alimentare e delle bevande

Andamenti e caratteristiche del lavoro atipico nell’industria alimentare e delle bevande

L’ultima analisi del nostro Ufficio studi prende in esame il lavoro “atipico” nell’industria alimentare e delle bevande. Sulla base dei dati INPS e INAIL proviamo ad approfondire la diffusione nel settore di quelle tipologie occupazionali diverse dai tradizionali contratti di lavoro dipendente a tempo indeterminato e dalle forme di lavoro autonomo.

Nella nota allegata troverete informazioni sulla numerosità e sulle caratteristiche dei lavoratori dell’industria alimentare e delle bevande titolari di contratti di lavoro part time, lavoro intermittente e lavoro in somministrazione.

Una donna con grembiule e guanti azzurri con un coltello in mano è impegnata nella produzione di formaggio

Le nostre elaborazioni evidenziano un incremento nell’incidenza dei contratti part time che nel 2023 riguardavano oltre un terzo dei lavoratori del settore. A questo si aggiungono, da un lato, l’elevata diffusione dei contratti intermittenti tra le categorie di lavoratori più vulnerabili (donne e giovani) e, dall’altro, la notevole crescita registrata negli anni nella numerosità dei contratti di somministrazione. E’ forse superfluo specificare come queste tipologie di contratto sempre più diffuse offrano tutele inferiori in termini previdenziali ed assistenziali rispetto a quelle garantite dai “contratti standard”, portando ad una discriminazione, di fatto, di alcune categorie di lavoratori e lavoratrici.

Come si può contrastare la precarizzazione del lavoro nel nostro settore?

Il recente rinnovo del CCNL per i lavoratori dell’industria alimentare compie importanti passi avanti nel tentativo di ridurre l’instabilità dei posti di lavoro nel settore, ad esempio fissando nel 25% il limite massimo nel rapporto tra i contratti a tempo determinato e in somministrazione attivali sul totale dei contratti a tempo indeterminato.

Oltre a monitorare l’effettiva applicazione di questa norma del Contratto Collettivo Nazionale di settore, un’altra misura di contrasto alla precarizzazione del lavoro è sicuramente quella di aderire alla raccolta firme avanzata dalla CGIL per promuovere i quattro referendum sul lavoro.

Banner dell'iniziativa referendaria della Cgil "Per il lavoro ci metto la firma"

Per approfondire

Vi invitiamo a scaricare e leggere la nota completa nella quale, oltre alla numerosità e all’andamento dell’impiego delle forme di contratto atipiche, troverete disaggregazioni per genere, età, distribuzione geografica, qualifica, retribuzione e settore ATECO.

Scarica qui la Nota “Andamenti e caratteristiche del lavoro atipico nell’industria alimentare e delle bevande”

Evoluzioni territoriali dell’agricoltura italiana. In montagna e in collina crolla il numero delle aziende e diminuisce il suolo agricolo

Evoluzioni territoriali dell’agricoltura italiana. In montagna e in collina crolla il numero delle aziende e diminuisce il suolo agricolo

Cosa è successo all’agricoltura di montagna e di collina negli ultimi 60 anni?

Attraverso l’analisi dei dati forniti dal VII Censimento dell’agricoltura ISTAT proviamo a misurare quali sono stati i differenti effetti che le trasformazioni strutturali registrate negli anni nell’agricoltura italiana hanno generato sul settore nelle aree agricole di montagna, di collina e di pianura.

(Nostre elaborazioni su dati ISTAT 2022)

Variazioni % nella numerosità delle aziende agricole per ripartizione territoriale e per zona altimetrica, 1990-2020

(Nostre elaborazioni su dati ISTAT 2022)

Come si è modificata l’agricoltura di montagna, di collina e di pianura nelle diverse aree territoriali del nostro Paese?

Nell’ultimo trentennio, l’agricoltura nelle diverse zone del nostro Paese ha subito cambiamenti differenziati.

La diminuzione delle aziende agricole è stata più pronunciata nelle aree montane e collinari rispetto a quelle pianeggianti, ad eccezione del Nord-est dove il calo si è concentrato nelle zone collinari. Nel Nord-ovest e nel Centro, si sono verificate riduzioni significative della numerosità delle aziende di montagna.

Le superfici agricole utilizzate e totali hanno subito le flessioni più accentuate nelle zone montane del Nord-est e del Centro, mentre le zone collinari del Nord-ovest hanno registrato diminuzioni significative.

Quali effetti comportano queste evoluzioni?

La scomparsa dell’agricoltura nelle aree montane e collinari genera inoltre preoccupanti ripercussioni in merito agli obiettivi di conservazione e salvaguardia del paesaggio rurale nonché agli obiettivi di conservazione della vitalità economica delle aree interne.

I risultati della nostra analisi evidenziano quindi la necessità di riformare profondamente i meccanismi di funzionamento della PAC portando definitivamente a compimento il processo di trasformazione dei pagamenti diretti per trasformarli effettivamente nello strumento in grado di remunerare i servizi ecosistemici forniti dall’agricoltura nelle aree interne.

Per tutti i dati suddivisi per area geografica e zone altimetriche e per un’analisi più politica delle evoluzioni presentate, vi invitiamo a leggere l’intera nota.

a cura dell’Ufficio Studi della Fondazione Metes

Resistere alla deriva neoliberista

Resistere alla deriva neoliberista

Una riflessione sul ruolo della formazione e della ricerca nel ventennale della Fondazione Metes, a cura della Presidente della Fondazione Metes Tina Balì

Nell’ultimo numero di Nautilus, dedicato al tema della Resistenze, è stata pubblicata una riflessione della nostra Presidente che si interroga sulla deriva neoliberista e sul ruolo della ricerca e della formazione al servizio della Resistenza.

Anticipiamo qui solo un passaggio.

“In questo quadro di trasformazioni si inserisce il più grande mutamento del XXI secolo: il passaggio della conoscenza da attività che libera ed emancipa a elemento performante e “abilitante” del sistema capitalistico della produzione di merci e servizi dentro una fase di accelerazione dell’innovazione tecnologica, in particolare applicata alla robotica e all’intelligenza artificiale.

Qual è il nostro compito oggi? Quale il nuovo modello di resistenza?

Giuseppe Di Vittorio al Primo Congresso delle organizzazioni sindacali dell’Italia liberata tenutosi a Napoli all’inizio del 1945 condivise questa importante intuizione: “il sindacato deve promuovere discussioni, assemblee, far partecipare i lavoratori alla vita sindacale, deve essere la espressione libera della massa. È attraverso una vita sindacale così concepita, non attraverso il burocratismo che si debbono formare e si formeranno i nuovi dirigenti”. Così come quando Bruno Trentin decise di costituire l’IRES, sapeva che il sindacato per poter avere un suo punto di vista su quello che accade ed essere capace di costruire un suo progetto di trasformazione politica della società doveva saper coniugare attività di ricerca con le attività di formazione.”

L’articolo completo si può leggere qui: https://www.nautilusrivista.it/temi/societa/fondazione-metes

Cosa si intende per condizionalità sociale quando si parla di Politica Agricola Comune?

Definizione di condizionalità sociale

La condizionalità rappresenta quell’insieme di obblighi che devono essere rispettati dai beneficiari per poter accedere al sostegno di base al reddito per la sostenibilità (Basic Income Support for Sustainability – BISS) previsto dal Primo Pilastro della PAC e agli aiuti previsti dagli interventi agro-climatico-ambientali (ACA) dello Sviluppo rurale. Dopo la riforma 2023-2027, i suddetti obblighi riguardano il rispetto di 11 Criteri di Gestione Obbligatori (CGO) e di 9 norme per il mantenimento dei terreni in buone condizioni agronomiche e ambientali (Buone Condizioni Agronomiche e Ambientali – BCAA).

Qual è la normativa di riferimento in materia di condizionalità sociale?

In merito ai CGO le norme da rispettare riguardano:

  • i requisiti per controllare le fonti diffuse di inquinamento da fosfati – Direttiva 2000/60/CE (CGO 1);
  • le norme per la protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole – Direttiva 91/676/CEE (CGO 2);
  • le norme per la conservazione degli uccelli selvatici – Direttiva 2009/147/CE (CGO 3);
  • le norme per conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche – Direttiva 92/43/CEE (CGO 4);
  • i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare – Regolamento (CE) n. 178/2002 (CGO 5);
  • il divieto d’utilizzazione di talune sostanze ad azione ormonica, tireostatica e delle sostanze β- agoniste nelle produzioni animali – Direttiva 96/22/CE (CGO 6);
  • le norme per commercializzazione dei prodotti fitosanitari – Regolamento (CE) n. 1107/2009 (CGO 7);
  • le norme per l’utilizzo sostenibile dei pesticidi – Direttiva 2009/128/CE (CGO 8);
  • le norme minime per la protezione dei vitelli – Direttiva 2008/119/CE (CGO 9);
  • le norme minime per la protezione dei suini – Direttiva 2008/120/CEE (CGO 10);
  • le norme riguardanti la protezione degli animali negli allevamenti – Direttiva 98/58/CE (CGO 11).

Nello specifico le BCAA riguardano il mantenimento dei prati permanenti (BCAA 1), la protezione di zone umide e torbiere (BCAA 2), il divieto di bruciare le stoppie (BCAA 3), l’introduzione di fasce tampone lungo i corsi d’acqua (BCAA 4), la lavorazione del terreno (BCAA 5), la copertura minima del suolo (BCAA 6), la rotazione delle colture (BCAA 7), la superficie agricola destinata a aree o elementi non produttivi (BCAA 8), il divieto di conversione o aratura dei prati permanenti in Natura 2000 (BCAA 9).